La figura del policy officer non è forse nota a tutti, ma senza dubbio tutti conosciamo, più o meno approfonditamente, il mondo delle organizzazioni internazionali. Entrare in contatto con questo settore e, in particolare, con quello dell’immigrazione presuppone non solo la conoscenza di una o più lingue straniere, ma soprattutto un’apertura a 360° verso le realtà internazionali. In questi casi, quindi, uno stage all’estero può rivelarsi di fondamentale importanza.           

La testimonianza di Silvio Grieco, policy officer alla Commissione Europea, che abbiamo avuto il piacere di intervistare, ci dimostra come una semplice esperienza di formazione possa trasformarsi in un’esperienza di vita.

 

Ciao Silvio, cominciamo dalle domande semplici… ci racconti di cosa ti occupi?

Lavoro alla Commissione europea come policy officer (“policy officer” è uno di quei termini che trovo impossibile tradurre e spiegare in italiano!). Più nel concreto, mi occupo di legislazione e politiche nel settore dell’immigrazione. Quella sull’immigrazione è una delle politiche “comuni” dell’Unione Europea, ed è compito della Commissione preparare proposte legislative e supportare i paesi membri nell’attuazione della legislazione una volta adottata.

 

Durante la tua formazione hai svolto periodi all’estero? In tal caso, quanto ha inciso sul tuo percorso professionale e personale?

Sì, anche se il mio “periodo di formazione all’estero” alla fine è coinciso con la mia partenza definitiva dall’Italia. Dopo aver completato il mio percorso di studi in Italia (laurea in giurisprudenza e master in studi europei) ho fatto domanda per uno stage alla Commissione europea, che ho svolto all’inizio del 2007. Un’esperienza di formazione di cinque mesi si è trasformata in un’esperienza di vita di tredici anni ormai!

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 Nel campo della legislazione e delle politiche nel settore dell’immigrazione, quali sono le abilità che, secondo la tua esperienza, un periodo di formazione all’estero ti fornisce?

La capacità di lavorare in altre lingue, naturalmente, che è un requisito fondamentale per lavorare in un’organizzazione internazionale; ma anche, e soprattutto, l’apertura mentale che si acquisisce dal confronto diretto con persone che hanno avuto diversi percorsi di vita e formazione.

 

Quali sono le caratteristiche che una risorsa junior deve avere per lavorare nel tuo settore?

Da punto di vista della formazione, in una grande organizzazione come la Commissione europea sono richiesti diversi tipi di profili, anche se quelli più diffusi sono giuristi, economisti, e “scienziati politici”. Più in generale, è necessario saper lavorare in inglese (e in misura minore in francese) e, naturalmente, essere aperti, flessibili, curiosi.

 

Quali sono i paesi europei nei quali consiglieresti di svolgere un periodo di formazione perché all’avanguardia per la tua professione?

Per lavorare nelle istituzioni europee, Bruxelles è naturalmente la scelta più immediata. C’è un intero mondo di società di consulenza, studi legali, associazioni che ruotano attorno al lavoro delle istituzioni europee e che offrono possibilità di formazione per chi è interessato a lavorare in questo ambito. Ma anche periodi di formazione in altri paesi e in altri settori possono essere utili; anzi, credo che per chi voglia lavorare in un’istituzione pubblica, aver svolto in precedenza un periodo di formazione in un’azienda privata possa rappresentare un grande valore aggiunto.

 

Mediamente quanto ritieni debba durare un’esperienza all’estero perché comporti una crescita?

Credo che questo dipenda da molti fattori, ma in generale non meno di sei mesi. Tenendo però conto del “rischio” di non tornare più in Italia se l’esperienza diventa più lunga!

  

Quali sono le soft skills che in genere presenta un candidato che ha svolto periodi di formazione all’estero? Quali di queste sono fondamentali nella tua quotidianità lavorativa?

La capacità di adattarsi più facilmente a situazioni diverse e a trovare più facilmente delle soluzioni; la capacità di valutare il merito delle idee e delle proposte, piuttosto che la provenienza di queste ultime (l’ha detto il mio capo, quindi deve essere giusto! Non sempre…); lo spirito di iniziativa; la diplomazia nella comunicazione con i colleghi. Per me il punto di partenza fondamentale nel mio lavoro quotidiano è accettare le differenze di mentalità e di approccio dei miei colleghi o interlocutori e rispettare queste differenze senza cercare di impormi. La soluzione di qualunque situazione o problema deve essere sempre il risultato di un negoziato, dove tutte le parti devono sentire di aver contribuito alla soluzione.

 

Qual è il consiglio che daresti a un giovane che vuole cominciare a lavorare nel tuo campo?

La cosa più importante è credere nel progetto di integrazione europea. Questa è stata la motivazione principale che mi ha spinto a lavorare in questo campo ed è quello che tuttora mi aiuta a superare i problemi e le inevitabili frustrazioni legate al lavoro di tutti i giorni. Poi, naturalmente, bisogna essere consapevoli che i processi di selezione per lavorare in un’istituzione europea sono difficili e quindi consiglierei di non mollare al primo tentativo, ma di essere pazienti e perseveranti.

 

Chiudiamo con una domanda leggera per salutarci… qual è l’oggetto che non manca mai nella tua valigia quando viaggi per lavoro?

Un libro! Ho due bambini piccoli quindi i viaggi di lavoro sono l’unica occasione in cui posso spendere un po’ di tempo a leggere tranquillo, senza essere interrotto continuamente!

 

Grazie per il tempo che ci hai dedicato!

Grazie a voi!